Di seguito un estratto dell’arguto articolo, “The Devirilization of the Liturgy in the Novus Ordo Mass” di Padre Richard G. Cipolla, Ph.D., D. Phil.(Oxon.), un articolo esclusivo su https://rorate-caeli.blogspot.com/2013/06/the-devirilization-of-liturgy-in-novus.html Le note a pié di pagina, sebbene non siano collegate ai numeri delle note, si trovano alla fine dell’articolo.
“La corrispondenza tra il Cardinale Heenan di Westminster e Evelyn Waugh prima della promulgazione della Messa del Novus Ordo è ben nota; in essa Waugh esprime un crie de coeur sulla liturgia dopo il Concilio e trova un ascolto empatico, anche se poco efficace, da parte del Cardinale.[1] Ciò che non è così ben noto è il commento del Cardinale Heenan sul Sinodo dei Vescovi a Roma dopo che la Messa sperimentale, la Missa Normativa, fu presentata per la prima volta nel 1967 ad un ristretto gruppo scelto di vescovi. Questo saggio fu ispirato dalle seguenti parole del Cardinale Heenan ai vescovi assemblati:
A casa, non sono solo le donne e i bambini che vengono regolarmente alla Messa, anche i padri di famiglia e ragazzi lo fanno. Se dovessimo offrire loro il tipo di cerimonia che abbiamo visto ieri ci ritroveremmo presto con una congregazione di donne e bambini.[2]
Ciò cui si riferiva il Cardinale si trova nel cuore stesso della forma del Novus Ordo della Messa romana e nei conseguenti e profondi problemi che hanno intaccato la Chiesa dopo l’imposizione della forma del Novus Ordo nel 1970.[3] Si potrebbe essere tentati di cristallizzare ciò che il Cardinale Heenan ha sperimentato come una femminilizzazione della Liturgia. Ma questo termine sarebbe inadeguato e completamente fuorviante. Perché vi è un reale aspetto Mariano della Liturgia che è pertanto femminile. La Liturgia porta la Parola di Dio, la Liturgia produce il Corpo della Parola che deve essere venerato e offerto come Cibo. Una terminologia migliore potrebbe essere che nel rito della Messa del Novus Ordo la Liturgia sia stata effeminata. C’è un celebre passaggio nel De bello Gallico di Cesare in cui spiega perché la tribù dei Belgi avesse dei così buoni soldati. Lo attribuisce alla loro mancanza di contatti con i centri culturali come le città. Cesare credeva che questo tipo di contatti contribuisse ad effeminandos animos, alla femminilizzazione dei loro spiriti. [4] Ma quando si parla di femminilizzazione della Liturgia si rischia di essere fraintesi, ossia di svalutare la donna, o meglio tutta l’umanità femminile. Senza adottare la visione piuttosto maschilista di Cesare degli effetti della cultura sui soldati, si può certamente parlare di una riduzione di virilità del soldato che riduce la sua forza e la volontà di fare ciò che un soldato deve fare. Non è una denigrazione del femminile. Piuttosto questo descrive l’indebolimento di quello che dovrebbe essere un uomo.
Voglio usare il termine “devirilizzazione” per descrivere quello che vide il Cardinale Heenan quel giorno del 1967 durante la prima celebrazione della Messa sperimentale.[5] Nella sua forma di Novus Ordo, quella che il Motu Proprio di Benedetto XVI Summorum Pontificum, in qualche modo ingombrante, ma comprensibile, chiama la Forma Ordinaria del rito romano, la Liturgia è stata devirilizzata. Bisogna riprendere il significato della parola, vir, in latino. Sia vir che homo significano “uomo”, ma è solo vir ad avere la connotazione dell’uomo-eroe ed è la parola che si usa spesso per dire “marito”. L’Eneide comincia con le celebri parole: arma virumque cano. (“Canto le armi, canto l’uomo.”) Quello che il Cardinale Heenan vide in modo premonitore e correttamente nel 1967 era l’eliminazione virtuale della natura virile della Liturgia, la sostituzione dell’obiettività mascolina, necessaria per la pubblica adorazione della Chiesa, con la tenerezza, il sentimentalismo e la personalizzazione del sacerdote incentrata su una figura materna.
Le persone all’interno della Liturgia [6] si mettono in una relazione Mariana verso la Liturgia: premura, disponibilità, ponderazione, in attesa di essere riempito. Nella Liturgia è il sacerdote in quanto padre che pronuncia, annuncia e comunica la Parola di modo che essa diventi Cibo per coloro che stanno all’interno dell’attivazione suprema della Chiesa che è la Liturgia. [7] E’ il prete che offre Cristo al Padre, ed è questo atto che contiene il ruolo determinante da cui deriva il senso stesso dell’essere sacerdote. E così il ruolo del prete come padre rende il suo ruolo distinto non solo nella funzione ma nella stessa ontologia della sessualità.[8] Il sacerdote sta sull’altare in persona Christi, in persona Verbi facti hominem, e questo non solo come homo, che come parola in un certo senso trascende il genere, ma in persona Christi viri: in un senso, homo factus est ut fiat vir, ut sit vir qui destruat mortem, ut sit vir qui calcet portas inferi: Dio è diventato uomo per poter essere quell’uomo-eroe che potrà distruggere la morte e annientare con i suoi stessi piedi le porte dell’inferno.
La devirilizzazione della Liturgia e quella del sacerdote per ragioni pratiche non possono essere separate. In ciò che segue desidero, per quanto abbozzato e incompleto, parlare in primo luogo in termini più specifici della devirilizzazione della Liturgia stessa nella forma Novus Ordo del rito romano. In secondo luogo tratterò della necessaria (conseguente alla devirilizzazione del rito) devirilizzazione del sacerdote adoperando esempi specifici.
La descrizione della liturgia Romana usando aggettivi come “austera”, “sintetica”, “nobile” e “semplice,” è un luogo comune tra molti che hanno scritto della liturgia nel movimento liturgico moderno del ventesimo secolo. Molti di questi autori, tuttavia, hanno romanticizzato questa austerità del rito Romano oppure l’hanno usato per promuovere la loro propria agenda di svuotare il rito della crescita organica dei tempi, etichettandola con termini censori come “accrescimenti Gallici” o “ripetizioni inutili”. Piuttosto che definire il rito romano come austero, un aggettivo che senza dubbio ha una connotazione puritana, è meglio parlare della mascolinità o della virilità del rito romano tradizionale. Per farlo si richiede necessariamente una definizione di mascolinità in questo contesto. Ciò è piuttosto difficile, e la questione richiede uno studio più approfondito. Ma offrirò numerose caratteristiche del rito romano tradizionale che aiutano a spiegare ciò che intendo per mascolinità e virilità innate nel contesto di questo rito.[9]
Prima di tutto, la mascolinità si oppone al sentimentalismo—non ai sentimenti, ma al sentimentalismo. Non c’è alcuna traccia di sentimentalismo nel rito tradizionale, detto anche Forma Straordinaria. Ciò si vede nelle sue raccolte e preghiere che sono brevi e dirette senza sacrificare la bellezza del linguaggio, e nei suoi precetti che evitano che la personalità del sacerdote possa inserire le proprie scelte e i propri sentimenti nel rito stesso. Se consideriamo l’idea del Cardinale Newman secondo la quale quel sentimentalismo è l’acido della religione, ossia che distrugge la vera religione, allora le rubriche del rito tradizionale sono la piccola pillola viole che impedisce il riflusso del sentimentalismo nella liturgia. [10]
In secondo luogo, con la Messa tradizionale romana c’è la piena accettazione del silenzio poiché è il cuore il mezzo di comunicazione con Dio. La partecipazione attiva viene intesa come contemplazione e preghiera. Le parole del rito non sono mai il punto. Esse sono fisse. Puntano sempre oltre se stesse. E’ un luogo comune dire che due veri amici sono coloro in grado di restare in completo silenzio l’uno alla presenza dell’altro e sapere che il cuore parla al cuore in questo silenzio. E’ il silenzio di Mosé prima del roveto ardente, il silenzio dei padri del deserto, il silenzio di San Benedetto nella grotta, il Sacro Speco.
In terzo luogo, c’è il fatto della mascolinità della lingua latina. Questa lingua, diversamente dalla femminilità delle lingue romanze che sono la sua progenie, è mascolina nella sua laconicità, nella sua sinteticità, formalità, difficoltà, mancanza di flessibilità. Anche nelle mani di un poeta come Ovidio che certamente comprendeva e metteva in pratica in modo così bello il lato femminile della poesia romana, ebbene anche lì la mascolinità del linguaggio tiene duro contro ogni tentativo di renderlo diverso da quello che è.
In quarto luogo, il rito tradizionale romano chiede, non solo nelle sue rubriche, ma nella sua essenza profonda, una sottomissione alla sua forma. Richiede una soppressione dell’auto-attualizzazione. E’ qualcosa in cui si sceglie di entrare, che non finisce mai. E questa scelta implica sempre qualcosa come una fusione eroica oltre l’io per un obiettivo più grande, il telos.
Quinto, strettamente collegato al quarto aspetto di cui sopra, la Liturgia è qualcosa di dato, che non viene mai fatto. E’ lì per essere avviata. Questo aspetto si vede più chiaramente nei riti orientali dove il razionalismo e il sentimentalismo non hanno mai eroso questo senso della liturgia come cosa data da Dio – in effetti è conosciuta in oriente come “la liturgia divina”. Questo aspetto non implica la fossilizzazione né nega lo sviluppo organico. Anzi piuttosto, questo aspetto è come una grande casa che è stata costruita dall’ispirazione dello Spirito attraverso i secoli e che è lì perché ci si possa entrare. Il genio e la verità dello Spirito della Liturgia di Romano Guardini, che ha ispirato l’attuale Papa, Benedetto XVI, così profondamente nella sua comprensione della Liturgia, assume il fatto che la Liturgia sia data da Dio, perché nessuno può “giocare nella casa del Signore” a meno che la casa non sia già pronta perché vi si possa giocare dentro. Il sacerdote accetta il divieto di imporre i suoi gusti e le proprie antipatie nella liturgia. E’ disposto ad essere chiamato a ricordarsi di ciò che deve essere fatto. Accetta il distacco imposto dalla Liturgia, senza il quale nessuno può entrare nella Liturgia cosmica che trascende il tempo e lo spazio. [11]
Sesto, la liturgia è virile nella comprensione e nell’uso di gesti ambigui come il bacio. Il bacio trova sicuramente un posto sicuro nel regno dell’erotismo. Eppure il bacio come segno di rispetto e amore per gli oggetti usati nella liturgia e per coloro che vi partecipano, come nel Bacio della Pace, purifica questo simbolo erotico e lo eleva al livello più alto e più obiettivo di adorazione della presenza di Dio nella Liturgia. Sono sempre divertito e confuso da coloro che celebrano la Messa romana tradizionale senza i consueti baci sul suolo sulla base del fatto che essi sembrano in qualche modo “eccessivi” ed inclini al fraintendimento. Non sono mai eccessivi, come sottolineò Gesù a Giuda quando la donna unse i suoi piedi di un unguento prezioso. Questi baci sono suscettibili di fraintendimento solo se la Liturgia è priva della sua virilità innata.
Infine, la Liturgia è virile nella sua accettazione della solitudine fondamentale del sacerdote all’interno della comunità che rappresenta il suo gregge adorato che egli ama e per il quale sarebbe disposto a morire nel caso in cui fosse chiamato a farlo. Il sacerdote vir sta in piedi da solo sull’altare per offrire il Sacrificio per la sua gente. Sta nelle file di Melchisedec, di Mosé, di San Paolo, di Sant’Agostino e di tutti quei santi che non hanno avuto paura di essere soli per Dio e per la comunità, in particolare coloro che non hanno avuto timore di sperimentare la solitudine del martirio.
E’ ovvio dal discorso qui sopra sulla mascolinità e la virilità della liturgia che la devirilizzazione della liturgia richiede e risulta nella devirilizzazione del sacerdote. Adesso vorrei analizzare due contesti della devirilizzazione del sacerdote: una che è una conseguenza diretta del rito del Novus Ordo così ampiamente celebrato; l’altro è una conseguenza dell’aver dimenticato l’essenziale mascolinità-virilità del prete.
Non ci può essere forza più potente per la devirilizzazione del sacerdote che l’usanza moderna di dire la Messa di fronte al popolo. A prescindere dalla sua natura non tradizionale, al di là del suo fondamento in richiami affranti e sentimentali all’antichità (contro il cui archeologismo Pio XII mise in guardia nel Mediator Dei), al di là dell’imposizione di un terribile fraintendimento dell’essenza della Messa che ha fatto in modo che l’aspetto secondario del “pasto” quasi eliminasse l’aspetto primario del Sacrificio: questa usanza di dire la Messa di fronte alla gente come novità senza il supporto della tradizione è stata una delle cause principali della devirilizzazione del sacerdozio.[12]
Durante uno dei miei numerosi soggiorni in Italia notai che molti passeggini erano costruiti in modo che il bambino si sedesse al suo posto di fronte alla madre che stava spingendo il passeggino. Questo mi sembrò strano, perché negli Stati Uniti il bambino guarda nella stessa direzione della madre che spinge il passeggino. Quando chiesi spiegazioni ad un amico, mi spiegò che molte madri italiane desiderano mantenere un contatto visivo costante con il bambino e potergli sorridere, parlargli, per assicurarsi che il legame sia sempre lì tra la madre e il figlio. La classica relazione madre-figlio è accresciuta in un modo quasi perverso da questo bisogno percepito della madre di avere un contatto visivo costante con il suo bambino per timore che il contatto con il mondo esterno, con “l’altro” danneggi la relazione.
Senza pretendere che l’analogia di cui sopra sia esatta o completa, vorrei affermare che l’innovazione radicale, mai imposta dal Concilio o da qualche libro liturgico, di celebrare la Messa con il prete rivolto verso la gente, ha trasformato il ruolo del prete nella Messa da quello del padre che guida il suo popolo per offrire il Sacrificio al padre, a quello della madre il cui contatto visivo e le battute liturgiche con la gente e il comportamento a volte deliberatamente sciocco, come se il popolo fosse composto da bambini, riducono il ruolo del prete a quello della madre di un bambino. Questa riduzione dei fedeli a dei bambini costretti a guardare la madre-prete impedisce loro di vedere oltre il sacerdote, di guardare verso Dio che viene adorato nella presenza del sacrificio cosmico di Cristo. [….]
Il sacerdote è come Abramo, padre di Isacco e di tutti gli Ebrei e nostro padre nella fede. Il maggiore atto di fede e di adorazione di Abramo come padre è quando conduce suo figlio Isacco sulla montagna per sacrificarlo in obbedienza a Dio, camminano, ciascuno guardando verso la montagna. C’era silenzio, eccetto il breve dialogo tra padre e figlio: ‘Isacco parlò ad Abramo suo padre e disse: ‘Padre mio!’ Abramo rispose: ‘Eccomi qui, figlio mio.’ E Isacco: ‘Ecco il fuoco e la legna; ma dov’è l’agnello per l’olocausto?’ Abramo rispose, ‘Figlio mio, Dio stesso si provvederà l’agnello per l’olocausto.’ E proseguirono tutti e due insieme.” (Genesi 22, 7-8, RSV)
E’ qui tra Abramo e Isacco che vediamo la componente davvero orizzontale dell’adorazione, breve e diretta. Il dialogo primario e verticale è tra Abramo e Dio, un dialogo che avviene nel silenzio di un’obbedienza piena di soggezione e di fede.
Questo ruolo del vir di fede è radicalmente diverso da quello del prete che crede che il suo compito non sia quello di guidare le persone verso l’altare del Sacrificio ma di dialogare con loro e far capire loro “che cosa sta succedendo”. Allora la preghiera Eucaristica con il suo dialogo assolutamente breve tra il sacerdote e la gente diviene un’altra estensione del dialogo-battute del sacerdote. Qui non c’è il camminare insieme verso la montagna; non c’è il rivolgersi insieme verso Dio; invece c’è una stasi grave e stucchevole della madre accondiscendente e opprimente che cerca di connettersi con suo figlio e nel processo distrugge la libertà del figlio di camminare fino alla montagna di Dio.[14] [….]
Dunque questo è quello che vide il Cardinale Heenan in quel giorno del 1967 quando la forma sperimentale della Messa del Novus Ordo fu celebrata per la prima volta a Roma davanti ai vescovi. Qui vide i risultati della mentalità funzionalista che non capisce il cerimoniale e confonde la semplicità con un infantilismo ridotto all’essenziale. Vide lì la “novità” della Messa del Novus Ordo, una novità che non cresceva organicamente dalla Tradizione ma piuttosto da un ceppo specifico di teologia liturgica fondato su ed infettato dal razionalismo post-illuminista. Vide lì la devirilizzazione della Liturgia e seppe quale sarebbe stato uno degli effetti del Novus Ordo sulla Chiesa: una riduzione drastica della partecipazione alla Messa. Visse abbastanza a lungo da vedere l’inizio della perdita del senso del sacro. Quello che non riuscì a vedere fu la devirilizzazione del sacerdozio e le sue disastrose conseguenze nella mancanza di vocazioni e l’infedeltà personale alla castità e al celibato.”
(“The Devirilization of the Liturgy in the Novus Ordo Mass” da Padre Richard G. Cipolla, Ph.D., D. Phil.(Oxon.), un articolo esclusivo https://rorate-caeli.blogspot.com/2013/06/the-devirilization-of-liturgy-in-novus.html)
Note:
[1] Evelyn Waugh and John Carmel Cardinal Heenan, A Bitter Trial, 2nd ed. (South Bend: St. Austin Press, 2000)[2] Ibid., 70
[3] L’importante questione della validità dell’imposizione del Novus Ordo e l’effettiva messa al bando del Messale del rito romano nel 1962 furono trattate dallo stesso Josef Ratzinger nel The Spirit of the Liturgy, (San Francisco:Ignatius Press, 2000) 165-66. Sembrerebbe che la risposta alla questione fosse contenuta nella promulgazione della Summorum Pontificum e nella sua lettera di accompagnamento ai vescovi. La questione non è se il Papa possa emettere un messale riformato. San Pio V senza dubbio lo fece in risposta a Trento. La questione è se il Papa possa imporre una nuova forma di Messa alla Chiesa e sopprimere il rito tradizionale romano. La comprensione del culto dei poteri del papato mostrata da Paolo VI e sottoscritta da coloro che lo incoraggiarono a sopprimere il rito tradizionale romano e dai vescovi che aderirono a questa mossa azzardata: tutto ciò avrebbe fatto arrossire Pio IX dalla vergogna e forse dall’invidia.
[4] Cesare, De bello Gallico, 1.1
[5] Il Cardinale Heenan precedette il suo commento con l’osservazione che egli non conosceva i nomi di coloro che avevano proposto la nuova Messa, ma per lui era chiaro che pochi di loro erano mai stati parroci.
[6] Non si dovrebbe parlare della gente che è alla liturgia, ma piuttosto all’interno di essa. La Liturgia è qualcosa in cui bisogna entrare, non qualcosa che viene osservato o che viene inventato o costruito dalle persone riunite.
[7] Sacrosanctum Concilium 10: “Nonostante ciò la liturgia è l’apice verso il auqle tende l’attività della Chiesa; allo stesso tempo è la fonte da cui fluisce tutto il suo potere.”
[8] Sulla natura ontologica della sessualità, vedere Angelo Scola, “The Nuptial Mystery: A Perspective for Systematic Theology?” Communio 30 (Estate 2003)
[9] Questo saggio non tenta di affrontare il contenuto verbale del rito del Novus Ordo, per esempio, i cambiamenti radicali nelle raccolte e nelle preghiere per gli offertori. Gli importanti e per questo devastanti risultati della ricerca del Dr. Lauren Pristas in una serie di articoli e in un imminente libro sulle revisioni della Messa eseguite dal Consilium of the Collects post-conciliare sono una prova delle politiche razionaliste e moderniste di revisione che hanno portato alle nuove raccolte della Messa nel Novus Ordo. Queste politiche possono essere comprese bene in termini della categoria di “devirilizzazione”. Lauren Pristas, “The Orations of the Vatican II Missal: Policies for Revision”, Communio 30 (Inverno 2003) 621-653; “Theological Principles that Guided the Redaction of the Roman Missal 1970”, The Thomist 67(2003) 157-95; “The Collects at Sunday Mass: An Examination of the Revisions of Vatican II”, Nova et Vetera, 3:1 (Inverno, 2005) 5-38. Vedere anche Aidan Nichols, Looking at the Liturgy,(San Francesco: Ignatius Press 1997). Questo breve libro è ancora la fonte migliore per comprendere le supposizioni razionalistiche ed anti-liturgiche del movimento liturgico tardo-moderno che hanno dato origine alla forma di Messa del Novus Ordo.
[10] Questo tema della distruzione della vera religione riducendola ad un mero sentimento si ritrova in tutti i sermoni e l’opera di Newman. Il Bigletto Speech di Roma quando divenne cardinale è una riaffermazione di questo tema in termini di ciò che egli definisce Liberalismo. Questo discorso è allo stesso tempo potente e premonitore
[11] Su questi punti vedere Romano Guardini, The Church and the Catholic and The Spirit of the Liturgy (Sheed and Ward: New York 1935), soprattutto i capitoli 3 e 9.
[12] La terza revisione della Istruzioni Generali della Messa romana chiarisce che la Messa di fronte alla gente non è obbligatoria e che la posizione tradizionale di ad orientem è senza dubbio permessa. Uno dei grandi misteri della rivoluzione liturgica successiva al Concilio è come la Messa di fronte ai fedeli sia divenuta obbligatoria sebbene non ci sia alcun documento ufficiale a supporto di tale idea. Per una storia dettagliata e spassionata della comprensione teologica della posizione “ad oriente” del sacerdote e dei fedeli durante la celebrazione della Messa, vedere Uwe Michael Lang, Turning to the Lord, (San Francisco: Ignatius Press 2009)
[13] St.Justin Martyr, Apology. 66-67
[14] Guardini, “The Primacy of the Logos over the Ethos”, op. cit., 199-211
[15] Questo ruolo mortale del funzionalismo nella liturgia viene discusso e confutato da Benedetto XVI in una raccolta di saggi sul ruolo della musica nella liturgia intitolata Lodate Dio con arte (Venezia: Marcianum Press 2010).
[16] Guardini, op.cit., “The playfulness of the Liturgy”
[17] In Italia, dove l’establishment liturgico sembra ancora impegnato nel funzionalismo e in un atteggiamento tecnocratico verso la Liturgia, hanno riciclato una splendida parola per descrivere lo spoglio della liturgia e la costruzione della Chiesa su delle ossa nude: adeguamento. In Lodato Dio con arte Benedetto XVI parla di questo termine e degli effetti deleteri che l’esecuzione dell’adeguamento ha avuto sulla vita liturgica della Chiesa in Italia.
[18] Si può vedere l’inizio di questa devirilizzazione del sacerdote nella raffigurazione holliwoodiana di preti come quello interpretato da Bing Crosby nel film, Le Campane di Santa Maria. L’immagine del sacerdote come un bravo ragazzo che fuma la pipa e non è una minaccia per nessuno, il sacerdote addomesticato che aiuta a scacciare l’anticattolicesimo protestante della protestante America. Possiamo immaginare quanti giovani abbiano lasciato perdere l’idea di diventare preti in questi ultimi quarant’anni a causa del loro timore che diventare preti significasse la rinuncia alla loro mascolinità e virilità.
[19] Sulla questione specifica della discontinuità del rito del Novus Ordo rispetto al rito romano vedere l’introduzione di Josef Ratzinger alla Riforma della Liturgia Romana di Klaus Gamber, Roman Catholic Books 1993, e Josef Ratzinger, The Spirit of the Liturgy, in particolare il capitolo sul rito. Per un esempio dettagliato del consenso esistente tra molti studiosi riguardo la discontinuità tra il Novus Ordo e il rito romani, vedere i lavori della conferenza liturgica tenutasi presso l’Abbazia di Fontgombault nel 2001: Looking again at the Question of the Liturgy, Alcuin Reid, ed., (Farnborough, England: St. Michael’s Abbey Press. 2002). Questa questione della discontinuità sembra essere elusa, giustamente, per ragioni pastorali nella Summorum Pontificum e nella lettera di accompagnamento ai vescovi. Il fatto che le due forme del rito romano coesistano nella Chiesa non dice nulla di definitive sul fatto che siano discontinue o meno.
[20] La discontinuità è un problema separato da quello della validità della forma. La validità di entrambe le forme viene data per scontata.
[21] Pristas, Orazioni: Relativamente al lavoro del Concilio Vaticano II sulle raccolte della Messa, Pristas parla della “costruzione di una città completamente nuova”. E’ notevole il fatto che il lavoro di questo studioso non abbia provocato grande inquietudine tra i vescovi, che sono, di fatto, i moderatori della Liturgia nelle loro diocesi.
[22] Flaminia Morandi, San Benedetto: Una luce per l’Europa (Milano:Paoline 2009)
[23] “simplices, sobriae, aliquando fortisan austeriores, decoram certe et firmamissam exhibent lineam, de cetero dulcibilem ac per hoc maxime expressivam, omnium susceptibilem temperamentorum, intimos animae sensus preferendi capacem.” Antiphonale Monasticum, (Tournai: Desclée & Co., 1934) p. xi