Il Fascino della Messa Tradizionale in Latino per Artisti ed Intellettuali

La Messa Tradizionale in Latino ha affascinato innumerevoli uomini di genio nei secoli.

Ad un livello sorprendente le arti durante la Cristianità medievale caddero tutte sotto l’influenza della “Messa delle Ere” in quanto musicisti, architetti, artisti, scrittori, scultori, realizzatori di affreschi e mosaici, carpentieri, orefici, gioiellieri, fondatori di vetro, realizzatori di vetrate, ed intagliatori di legno, tutti si impegnarono ad esprimere la loro venerazione o almeno quella della società per l’azione sacra. Invece, nello spirito umano non c’è un’altra forma di parola che sia stata una così grande fonte di cultura, che attanagli così intensamente l’immaginazione di una società da diventare la forza trainante dei suoi sforzi artistici.

La capacità dell’antica Messa di influenzare la creatività artistica spicca ancora di più se messa vicino alla secolarizzazione che aveva caratterizzato gli ultimi duecento anni. Come ha recentemente riconosciuto uno storico dell’arte, un numero notevole di artisti del diciannovesimo e del ventesimo secolo dagli Stati Uniti, dalla Germania, Inghilterra, Francia e Spagna, poiché essi erano nati nella decade precedente al 1960, ebbero un’esperienze esteticamente arricchente fin dall’infanzia grazie al Rito Antico.

“Questi artisti crebbero in un mondo vivo di grazia divina, sebbene si trattasse di un mondo in cui si veniva messi in guardia continuamente dai pericoli del peccato. Inoltre, la cultura spirituale in cui questi bambini sensibili, con un’inclinazione all’estetica, furono cresciuti era incentrata su un esaltante Gesamtkunstwerk[una forma d’arte onnicomprensiva] che era la Messa cattolica tradizionale, che comprendeva le arti visuali, la poesia, la musica, il rito e le arti aromatiche. La Messa stessa era parte di un gestaltpiù grande, ossia l’esperienza coinvolgente di viverla, e di esserne un’espressione, un grande Gesamtkunstwerk di profondità spirituale e bellezza. In effetti, questa formazione spirituale esteticamente ricca nell’infanzia fornì un sistema di alimentazione per le arti.” (Charlene Spretnak, The Spiritual Dynamic in Modern Art: Art History Reconsidered, 1800 to the Present (New York: Palgrave Macmillan, 2014), p. 176.)

Per secoli i partecipanti si sono relazionati alla Messa non come ad un tipo servizio-lettura religioso, ma come ad un’azione sacrificale. Già nell’ottavo secolo, nel Sacramentario gelasiano (che contiene elementi di secoli precedenti), il termine “actio” si applicava al nucleo essenziale della Messa, il Canonico. Un inglese convertito al Cattolicesimo narrava la sua consapevolezza del Rito Antico come azione:

“Non è una mera forma di parole, è una grande azione, la più grande che ci sia sulla terra. Non è una mera invocazione ma, se posso osare di usare questo termine, l’evocazione dell’Eterno. Egli diventa presente sull’altare in carne e sangue, prima di lui gli angeli si inchinano e i demoni tremano. Questo è quell’evento terribile che è lo scopo, e l’interpretazione di ogni parte della solennità. Le parole sono necessarie, ma sono il mezzo non il fine; esse non sono semplicemente rivolte al trono di grazia, sono strumenti di ciò che è più alto, di consacrazione, di sacrificio….  Ognuno al suo proprio posto, con il suo proprio cuore, con le sue proprie voglie, con i suoi propri pensieri, con le sue proprie intenzioni, con le sue proprie preghiere, separati ma concordi, che guardano il suo progresso, uniti nel suo consumo; che non seguono dolorosamente e senza speranza una forma difficile di preghiera dall’inizio alla fine, ma come un concerto di strumenti musicali, ognuno diverso ma tutti concorrenti in una dolce armonia, prendiamo la nostra parte con il prete di Dio sostenendolo sempre guidati da lui ….  E la grande Azione è la misura e la portata di esso.”[1].

Come il poeta e pittore ebreo, Max Jacob, che alla fine si convertì al Cattolicesimo, scrisse: “Così andrei ogni mattina alla vostra Messa e non mi stancherei ogni volta della morte di Dio sull’altare. La morte di Dio sul Golgota viene rinnovata”[2]. Di conseguenza, l’impatto del Rito Antico non era dovuto principalmente allo splendore della musica e del cerimoniale che lo abbelliva quando veniva rappresentato in magnifiche cattedrali ma alla sua chiara identità come il Sacrificio. Un altro convertito, lo scrittore Julien Green, notò: “Ma in ogni caso, quello che voglio dire, e che dirò sempre, è che sebbene ammiri tutto il fasto della tradizione, l’alta Messa non è mero teatro e non la considero al di sopra di una messa inferiore in una Chiesa di campagna, una di quelle piccole chiese romanesche che si possono ancora vedere in Francia …”[3]

Uno scrittore franco-svizzero lascia intravedere l’anima di un Cattolico caduto in una descrizione dell’eroe del suo racconto durante una visita ad una Chiesa in cui si sta eseguendo il Rito Antico:

“Non so quale suggerimento casuale mi ha fatto entrare a Saint-Sulpice oggi durante la Messa solenne. Da quanto tempo non avevo oltrepassato la soglia di una Chiesa eccetto che per i matrimoni o i funerali dove un migliaio di altre preoccupazioni ti assilla?…Questo culto è davvero uno spettacolo bellissimo, che è imponente non solo per lo splendore del decoro e lo sfarzo della cerimonia, ma per il mondo di idee da cui sei preso d’assalto, dal frammento di infinito che ti viene improvvisamente rivelato. Le candele, l’incenso, l’alta voce dell’organo, i canti del coro e la salmodia del prete sprigionano nel tuo animo un disagio che la fede contagiosa della folla inginocchiata aumenta ulteriormente…Ero entrato come qualcuno di diverso, curioso solo di rinnovare un’impressione dimenticata ….e, in un doppio sforzo di far uscire le formule perdute dalla mia memoria e per scrollare dal mio pensiero il giogo dello spirito che è in diniego, mi sono messo a mormorare ‒ le labbra, ahimé! Solo le labbra ‒, Padre Nostro, che sei nei Cieli!….[4]

Un non cattolico che intuì questo esprit de corps del Rito Antico fu lo scrittore gallese, Walter David Michael Jones (1895-1921) che scrisse sotto lo pseudonimo di Dai Greatcoat e fu autore di In Parenthesis,descritto da W. H. Auden come “il più grande libro sulla prima guerra mondiale” che avesse mai letto[5]. Cresciuto come gallese protestante, una delle tappe fondamentali della sua conversione al Cattolicesimo fu un incontro inatteso con l’antica Messa. Veniva eseguita in un granaio danneggiato da un incendio, vicino alle prime line sul fronte occidentale, durante la prima guerra mondiale.

“Non so se ti ho mai detto della mia prima visione di una Messa … notai qualcosa che doveva essere stata una fattoria… una stalla o un pozzo di qualche tipo era ancora lì… Quello che ho visto attraverso il piccolo spazio nel muro non era il vuoto oscuro che mi aspettavo, ma la schiena di un sacerdos [sacerdote ]in una planeta [pianeta] d’oro, due punti di candele tremolanti conferirono senza dubbio un ulteriore senso di oro al rivestimento e allo stesso modo un calore dorato sembrava prestare ai panni bianchi dell’altare e il lino bianco del camice sacerdotale del celebrante e il manipolo…..Puoi immaginare che grande meraviglia fu per me guardare in quello spazio nel muro e inginocchiate nel fieno sotto la mensa [tavola] improvvisata vi erano alcune figure accalcate in color cachi. Non pensavo che avrei dovuto rimanere a lungo perché mi sembrava piuttosto un giovane che faceva leva sui misteri del culto. Ma mi fece una grande impressione. Per una cosa ero sconvolto di quanto vicino alle Prime linee il prete avesse deciso di fare l’oblazione e fui impressionato nel vedere Old Sweat Mulligan, una figura un po’ terrificante, un vero pugile, un grosso bevitore celto, inginocchiato lì tra il fumo delle candele …. Sentii immediatamente quell’unione tra l’Offerente e coloro che erano radunati intorno a lui nella penombra ‒ una cosa che non avevo mai lontanamente percepito come Protestante nell’ufficio della Santa Comunione nonostante l’insistenza della teologia protestante sul ‘sacerdozio dei laici.”[6]

Non c’è da stupirsi che i Cattolici nei secoli abbiano avuto lo stesso atteggiamento espresso dal drammaturgo, Hugo Ball: “Per il Cattolico….il dramma che domina la sua vita e affascina ogni sua mattina è la Santa Messa.”[7] Oppure J. R. R. Tolkien:

Ti ho presentato l’unica grande cosa da amare sulla terra: il Santissimo Sacramento …Lì troverai il romanticismo, la gloria, l’onore, la fedeltà e la vera via di tutti i tuoi amori sulla terra, e ancora di più: la Morte: dal paradosso divino, ciò che conclude la vita e richiede la resa di tutti, e tuttavia dal gusto (o pregio) da cui solo può essere mantenuto ciò che cerchi nelle tue relazioni terrene (amore, fedeltà, gioia), o assumere quella carnagione della realtà, della resistenza eterna che il cuore di ogni uomo desidera.[8]

[1] John Henry Cardinal Newman (1801-1890), Loss and Gain (1848)

[2] Meditation 47, in Max Jacob, Les Meditations, quoted in Emmanuel Godo, (ed.), La Conversion Religieuse (Paris: Editions Imago, 2000), Kindle edition, location 3786. My translation.

[3] Julien Green, “Ce qu’il faut d’amour a l’homme” in Pamphlet contre les Catholiques de France (Paris: Gallimard,1982), p. 180. My translation.

[4] Edouard Rod, Le Sens de la vie (Paris: Perrin, 1889) pp. 305, 313. My translation, and italics added.

[5] Cited in Charlene Spretnak, The Spiritual Dynamic in Modern Art: Art History Reconsidered, 1800 to the Present (New York: Palgrave Macmillan, 2014), p. 116.

[6]DAVID JONES, Dai Greatcoat: A Self-Portrait of David Jones in His Letters (London: Faber and Faber, 1980), p. 248-249.

[7] Quoted in Joseph Jungmann, The Mass of the Roman Rite, vol. 1, p. 3.

[8] J. R. R. Tolkien,  Letter 43, in Humphrey Carpenter (ed.), The Letters of J. R. R. Tolkien (New York: Houghton Mifflin, 2000), p. 54.